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La riflessione di Nanni Moretti: “Il cinema rappresenta la solitudine”

Il Premio Bif&st “Arte del cinema“ ha accolto un evento speciale il 5 aprile 2025, presso il Teatro Petruzzelli di Bari. L’incontro, inizialmente concepito come un semplice saluto, si è trasformato in un’analisi approfondita della carriera di Nanni Moretti, che ha presentato una retrospettiva della sua opera cinematografica, spaziando da “Io sono un autarchico” a “Il sol dell’avvenire”. In un discorso di circa due ore, Moretti ha esposto un decalogo di riflessioni, affermando di aver preparato alcuni appunti su temi chiave come Super 8, Regia, Sceneggiatura e Critica.

Il percorso di Nanni Moretti nel cinema

Moretti ha condiviso con il pubblico le sue esperienze nel mondo del cinema, rivelando il suo desiderio di apprendere e di lavorare con altri. Ha ricordato come, negli anni ’70, fosse difficile farsi notare, affermando: “Mi sono trovato subito solo: volevo fare l’apprendista con qualcuno, ma proprio non mi prendevano”. Oggi, la tecnologia ha reso la realizzazione di film molto più accessibile, con videocamere leggere e smartphone a disposizione. Tuttavia, nei suoi esordi, l’uso della cinepresa Super 8 richiedeva notevoli sforzi e creatività. Moretti ha raccontato di come, nel 1973, si presentò alle Giornate degli autori di Venezia con il suo proiettore e amplificatore, affrontando le difficoltà di mostrare il proprio lavoro. Con umorismo, ha citato la sua celebre battuta: “No, il dibattito no!”.

La sua intenzione era chiara: raccontare e criticare il suo ambiente, senza cercare il consenso del pubblico. “Con Ecce bombo credevo di aver fatto un film doloroso per pochissimi”, ha spiegato, rimanendo sorpreso dal successo di un’opera che si è rivelata comica per molti.

La regia e l’approccio attoriale

Moretti ha riflettuto sull’importanza della regia e della recitazione nel suo lavoro, riconoscendo l’influenza dei fratelli Taviani. Ha mantenuto un approccio di inquadratura fissa nei suoi primi film, per permettere al pubblico di percepire la rappresentazione teatrale. “I miei attori dovevano muoversi come su un palcoscenico”, ha affermato, paragonando il suo stile cinematografico alla pallanuoto, dove cercava di sorprendere il portiere con tiri inaspettati. Con il passare del tempo, ha evoluto il suo approccio, iniziando a lavorare con attori professionisti e a sperimentare nuove tecniche.

Un elemento costante nei suoi film è stato la presenza di suo padre, che ha interpretato ruoli significativi in diverse opere. Moretti ha ricordato con affetto come la figura paterna sia stata fondamentale, fino alla sua scomparsa, che ha segnato la fine della sua partecipazione ai film del regista.

Il valore della sceneggiatura e la libertà creativa

Nel corso degli anni, la sceneggiatura ha assunto un ruolo sempre più centrale nel lavoro di Moretti. Ha descritto come, inizialmente, fosse un compito trascurato, ma che con il tempo ha guadagnato importanza. “Oggi sono felice di scrivere con altri, in realtà sempre donne”, ha dichiarato, sottolineando l’importanza delle esperienze umane nel processo creativo. Un momento cruciale per lui è stato vedere “La donna della porta accanto” di Truffaut, che ha rivoluzionato il suo approccio alla scrittura.

La decisione di fondare una società di produzione è stata motivata dalla volontà di essere libero: “Libero di cercare i soldi per i film dove volevo, libero di condividere la mia fortuna aiutando giovani esordienti”. Questo spirito di indipendenza ha caratterizzato la sua carriera, permettendogli di esplorare temi complessi e di documentare momenti significativi, come la fine del Partito Comunista Italiano.

Riflessioni sulla critica e riconoscimenti

Moretti ha affrontato anche il tema della critica cinematografica, affermando che ognuno ha il diritto di esprimere la propria opinione sul lavoro altrui. Con un tono di leggerezza, ha deciso di non approfondire la sua autobiografia, preferendo concentrarsi su questo aspetto. Durante la cerimonia, il direttore del Bifest, Oscar Iarussi, ha consegnato a Moretti il premio “Arte del cinema” alla carriera, riconoscendo la sua coerenza nella rappresentazione del rapporto tra individuo e società, e l’importanza di non dimenticare le contraddizioni del fare cinema.

Amalia Sisto

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